Sergio Mazzotta
p.iva 04711500282
APPROFONDIMENTI
LA STRUTTURA DI UN PARERE IN AMBITO GRAFOLOGICO
La consulenza in ambito grafologico non ha una struttura predefinita. Quest’ultima dipende dalle caratteristiche del lavoro da svolgere, dalla documentazione disponibile, dalla richiesta della committenza, dalla sensibilità e dalle abitudini del grafologo.
Una successione che si ripete con una certa costanza prevede che la prima parte del lavoro sia dedicata al quesito. Si tratta della richiesta formulata al grafologo, per esempio di verificare se un determinato scritto sia o meno autentico. È un elemento importante perché indirizza il lavoro che andrà svolto, definendone le caratteristiche.
Normalmente la parte relativa al quesito è seguita dalla descrizione dell’approccio teorico adottato dal grafologo. Non esiste una sola scuola grafologica, c’è quella morettiana, quella francese, quella tedesca e altre. È perciò importante che venga definito il modello teorico di riferimento per permettere a chi leggerà il lavoro di avere una idea delle basi teoriche che l’hanno indirizzato. Ugualmente importante è la descrizione del piano di lavoro, utile a spiegare le fasi attraverso le quali esso si svilupperà.
Segue abitualmente la presentazione della documentazione in verifica e di quella comparativa che verrà utilizzata nel proseguo del lavoro
Poi si sviluppa la vera e propria indagine, consistente prima di tutto nell’individuazione e descrizione delle principali caratteristiche degli scritti in verifica, e in seguito nella comparazione di tali caratteristiche con quelle delle scritture comparative. Questa è la parte cruciale del parere, grazie alla quale si arriva all’ultima fase, in cui si formula in termini di possibilità, probabilità o certezza tecnica la risposta al quesito che è stato formulato e descritto all’inizio del lavoro.
TIPI DI CONSULENZA DEL GRAFOLOGO
Il perito grafologo può intervenire nell’interesse del proprio cliente in vari modi.
Innanzi tutto tramite un parere verbale. Viene svolta l’attività di confronto tra gli scritti in verifica e quelli comparativi, si valuta la loro autenticità e si comunicano solo verbalmente gli esiti dell’indagine al cliente.
Un altro esame, questa volta scritto, è quello costituito dal parere breve. In questo caso il grafologo espone in modo succinto procedimento e elementi di valutazione che lo hanno condotto a una determinata conclusione. Secondo alcuni in questo tipo di indagine non dovrebbe essere acclusa la documentazione fotografica, ma a mio parere un supporto fotografico ha sempre un grande potere esplicativo ed è sempre utile accluderlo al parere perché una buona immagine vale più di molte spiegazioni complesse e fruibili soltanto da addetti ai lavori.
Infine, l’esame più approfondito è quello costituito dalla perizia grafologica, che spiega nei dettagli premesse, elementi di valutazione e procedimento adottato per giungere a una determinata conclusione. Nella perizia grafologica compare l’eventuale saggio grafico, laddove sia possibile e utile alla risposta al quesito, ogni singolo elemento di valutazione viene descritto in modo approfondito. La sua struttura è sempre più o meno la medesima, anche se in talune circostanze possono esserci delle modifiche: si ha la presentazione del quesito, viene descritto il metodo adottato dal grafologo, poi la descrizione delle scritture indagate e di quelle comparative, cui fa seguito il confronto e la risposta al quesito, che si esprime con livelli crescenti di sicurezza, dalla probabilità più o meno alta alla certezza tecnica.
GRAFOLOGIA E CAPACITA’ DI INTENDERE E VOLERE
Talvolta le richieste di parere in ambito grafologico non vertono sulla paternità di un documento, ma sulla capacità di intendere e volere del suo estensore. In altre parole, non ci si pone la domanda “chi ha scritto questo documento?”, oppure “chi lo ha sottoscritto?”, nel senso che la paternità di esso è fuori discussione. Ci si pone invece la domanda: “il firmatario di questo documento era nella condizione capire cosa stesse sottoscrivendo? Era in grado di determinare in modo efficace la propria volontà al riguardo?”, il che tradotto in termini giuridici diventa: “era capace di intendere e volere?”.
L’esigenza di questo tipo di indagine avviene soprattutto nei testamenti, ma non solo: anche i contratti possono essere un documento in cui la valutazione di tale capacità può avere la propria importanza.
La domanda legittima con questa premessa riguarda le modalità con cui la grafologia può contribuire a dare una risposta al quesito sulla capacità di intendere e volere, e soprattutto sull’ampiezza dell’intervento del grafologo in materia.
Una primissima affermazione è doverosa, anche per evitare malintesi: la grafologia da sola non è in grado di fornire una risposta definitiva alla questione della capacità di intendere e volere. Occorrono contributi di tipo medico, farmacologico, tossicologico e psicologico.
Però la grafologia il suo contributo lo può offrire, anche se le modalità con cui essa può dare questo contributo sono controverse. Non esiste infatti un metodo univocamente riconosciuto per tale valutazione, né un solo contributo in materia.
Per quanto mi riguarda trovo particolarmente interessante e ben congegnata (oltre che feconda sul piano dell’applicazione pratica) la proposta formulata da Edvige Crotti, Alberto Magni e Oscar Venturini, i quali nel loro testo pubblicato da Franco Angeli La perizia in Tribunale hanno fornito uno schema estremamente interessante e di facile applicazione. Questo schema è suddiviso in tre sezioni. La prima si concentra sulle cosiddette Alterazioni Extragrafiche, la seconda sulle Alterazioni Paragrafiche e la terza – che è anche la più importante in termini di rilievo sul pervasività – sulle Alterazioni Grafiche. In un prossimo approfondimento la specificità di queste sezioni e la loro applicabilità alle varie situazioni.
LE SCRITTURE COMPARATIVE
Un argomento molto importante in grafologia peritale è quello costituito dalle scritture comparative. Si tratta degli scritti di provenienza certa che vengono esaminati in comparazione con il documento o i documenti in verifica. Lo scopo ovviamente è quello di verificare se le due mani coincidano o meno.
Questi scritti comparativi variano, a seconda delle situazioni.
Uno scritto di grande utilità è costituito dal saggio grafico, che viene rilasciato normalmente nel corso della Perizia o della Consulenza Tecnica.
Altri documenti utili sono costituiti dagli atti notarili, oppure da sottoscrizioni rilasciate agli Uffici Anagrafe o in calce a moduli bancari. Non vanno ovviamente dimenticati i documenti di riconoscimento, la Carta di Identità, il Passaporto, o la Patente di Guida. La caratteristica comune di questi documenti è la cosiddetta “provenienza certa”: essendo rilasciati in condizioni che dovrebbero essere di grande controllo non si ritiene infatti possibile che essi contengano una sottoscrizione diversa da quella apparente.
Ma quando un grafologo di trova a dover scrivere un parere orientativo, o comunque stragiudiziale e non ha a disposizione scritture di provenienza certa, come deve regolarsi?
Per rispondere a questa domanda si può ipotizzare un caso che si verifica spesso.
Poniamo l’esempio di un legale che richiede un parere per decidere se consigliare o meno al proprio cliente di impugnare un testamento dai contenuti ritenuti poco credibili; non sono disponibili documenti di provenienza certa, al contrario le scritture comparative sono tutte di provenienza formalmente discutibile (lettere, cartoline, appunti ecc.). Come deve regolarsi il grafologo in questo caso? Deve rinunciare all’incarico? Deve operare lo stesso con quel che c’è?
La mia opinione è che se il cliente garantisce sulla autenticità di questi scritti (perché ha visto la persona scriverli o è in grado di riconoscere con certezza la scrittura), non c’è motivo per non utilizzarli. Questo perché da un lato il cliente ha tutto l’interesse a non mentire e a consegnare scritti della cui provenienza è sicuro; qualsiasi errore verrebbe infatti pagato a caro prezzo in una successiva Perizia in Tribunale. E poi, anche se al momento vengono esaminati di scritti di provenienza non certificata, la ricerca operata un domani presso istituti bancari, notai ecc. non potrà che consegnare al CTU di turno altri scritti dotati di identici parametri grafologici perché la mano di provenienza è la medesima.
Per questi motivi anche gli scritti di provenienza formalmente discutibile vanno utilizzati in un parere preliminare - nella massima chiarezza verso il cliente sulle conseguenze di sue eventuali leggerezze - in quanto perfettamente in grado di assolvere la propria funzione di scritture comparative.
CONSULENZA SU FOTOCOPIE
L’eventualità che un grafologo debba operare su copie e non su originali non è per nulla infrequente nella stesura di pareri di carattere grafologico. Capita infatti spessissimo che il committente, normalmente un Avvocato, abbia a disposizione unicamente una fotocopia, o una scansione o ancora una fotografia del documento in verifica e in ogni caso non sia disponibile l’originale.
In questo caso è certamente possibile scrivere un parere. Ci sono però precise conseguenze di tipo deontologico, su cui si esprime in modo chiarissimo il codice deontologico dell’Associazione Grafologi Professionisti, il quale all’art. 3 della Sezione “Rapporti con gli Utenti” afferma che il grafologo “non deve lavorare su documenti inviati per fax o fotocopiati poiché la qualità del tratto ne risulta alterata; qualora gli venga richiesto dall’Autorità Giudiziaria o da altri di lavorare su documenti non originali, deve accertarsi, nei limiti del possibile, che non sia reperibile il documento originale e deve informare, in modo circostanziato, il committente dei rischi e delle limitazioni che comporta una analisi su documenti non originali”.
I rischi come è intuibile sono che nel passaggio da originale a copia il documento sia stato manomesso, anche non intenzionalmente. Possono per esempio essersi modificati i rapporti dimensionali nello scritto. E in ogni caso l’esame di una copia non permette di rilevare un parametro di grande importanza come la Pressione. In effetti la differenza tra un originale e una copia è che quest’ultima presenta due dimensioni, e manca della terza che è la profondità, in sostanza l’incisione della penna nel foglio, insomma la Pressione.
La principale conseguenza che deriva dall’operare su fotocopie è che al grafologo sarà preclusa per previsione deontologica la possibilità di arrivare a conclusioni certe sull'attribuibilità o meno dello scritto a una certa mano, dovendosi al contrario limitare a una maggiore o minore probabilità.
Ciò non impedisce però che anche dall’esame delle copie possano emergere indicazioni di grande utilità a fini attributivi, ma occorre essere chiari e consapevoli sul limite che l’esame di copie porta con sé.
IL SAGGIO GRAFICO
Il saggio grafico è uno degli elementi che vengono utilizzati nell’indagine grafologica. Esso consiste nella stesura di uno scritto da parte della persona sotto la guida del perito grafologo. Nel corso di questa stesura il perito chiederà che vengano composte sottoscrizioni, scritti vari con le più diverse modalità (anteponendo nome e cognome e viceversa, scrivendo particolarmente grande o piccolo, velocemente o lentamente ecc.) e nelle più diverse condizioni (in piedi, inclinando il foglio ecc.).
Lo scopo è quello di ottenere delle scritture il più possibile spontanee e non condizionate dall’attenzione dello scrivente, da utilizzare come comparative nella successiva indagine. Proprio per questo vengono variate le condizioni di scrittura, e proprio per questo il saggio dura normalmente parecchio tempo. Grazie a questa durata si riesce a fare breccia su eventuali cautele e attenzioni dello scrivente portandolo alla spontaneità necessaria per ottenere uno scritto valido per il confronto.
Il saggio grafico viene rilasciato normalmente nel corso di una CTU (Consulenza Tecnica di Ufficio), dinanzi all’incaricato del Giudice e alla presenza dei Consulenti di Parte. Ma esso può anche essere ottenuto in sede stragiudiziale quando il perito grafologo sta ad esempio predisponendo un parere per l’Avvocato, per fornirgli indicazioni sull’eventualità o meno di intraprendere un’azione di disconoscimento di uno scritto. In quel caso il perito grafologo richiede al cliente dell’Avvocato di rilasciare il saggio a conferma del fatto che quel determinato scritto non gli appartiene. Le risultanze di questa attività saranno poi di aiuto per il legale sul da farsi.
Ovviamente è possibile ricorrere a un saggio grafico soltanto in certe situazioni. Per esempio è intuitivamente impossibile farlo quando c’è un testamento in contestazione, poiché normalmente tale contestazione si verifica quando il testatore è morto, e non c’è quindi più alcuna possibilità di ottenere il saggio. Ma nei casi in cui è possibile ritengo sia sempre utile farlo rilasciare dall’interessato, sempre e comunque in aggiunta a altri scritti di provenienza certa, per riuscire a coprire un arco di tempo che sia il più ampio possibile.
ELEMENTI ALLA BASE DELLA PERIZIA GRAFOLOGICA
La Grafologia Morettiana (dal nome del suo fondatore Girolamo Moretti) attribuisce particolare importanza a tre elementi che pone alla base dell’indagine peritale.
Questi tre elementi sono la pressione, il gesto grafico e i gesti fuggitivi.
In cosa consistono?
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La pressione riguarda la dimensione della profondità, l’incisione della penna sul foglio. Segue tendenzialmente la regola in base alla quale i tratti che vanno dall’alto verso il basso presentano una maggiore pressione rispetto a quelli che salgono dal basso in alto. Questo perché l’indice per comporli fa un movimento a premere sulla penna; si pensi per esempio alla composizione della gamba di una “t” corsiva nella sua forma scolastica. Al contrario i tratti che vanno dal basso verso l’alto presentano normalmente una pressione minore. Questo perché il pollice per comporli fa un movimento a sollevare la penna dal foglio. Si pensi al tratto che risale verso l’alto nella “g” corsiva, sempre nella sua forma scolastica.
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Il gesto grafico nell’accezione morettiana è la sintesi dell’insieme di segni grafologici presenti nella scrittura che identificano le caratteristiche proprie dello scrivente; secondo Girolamo Moretti la personalità dello scrivente si materializza nella sua scrittura. Sotto questo punto di vista va rammentato come – ai fini dell’indagine della personalità – una visione più prudente della grafologia non spinga le aspettative all’identificazione della personalità dell’individuo nel suo complesso, ma più modestamente all’individuazione di alcuni suoi tratti. In ogni caso ai fini peritali non interessano considerazioni legate alla personalità dello scrivente, ma unicamente gli elementi distintivi utili a identificarlo o meno come l’autore dello scritto in verifica, e in questo il gesto grafico ha un’importanza cruciale.
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Infine i gesti fuggitivi: nell’accezione morettina questi gesti si chiamano così perché sfuggono alla capacità attentiva dello scrivente. I tratti finali delle parole, quelli che Moretti chiama i “ricci”, costituiscono un esempio tipico di gesti fuggitivi. E proprio per il loro sfuggire all’attenzione di chi scrive – e quindi al suo controllo - essi sono un eccellente elemento di identificazione dello scrivente in ambito peritale. Secondo la visione di Moretti infatti, per quanto lo scrivente si possa sforzare di imporre alla scrittura il proprio autocontrollo, questi gesti fuggitivi saranno in grado di imporsi e proporsi alla minima sua distrazione.
CHE COS’E’ LA PERIZIA GRAFOLOGICA
La perizia grafologica consiste nello studio comparativo tra uno o più scritti di incerta attribuzione e altri scritti di attribuzione certa. Tale indagine avviene con l’utilizzo di metodi di indagine che variano in base alle diverse scuole.
In Italia le principali scuole sono 3.
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C’è la scuola di Marco Marchesan, di impronta più prettamente psicologica, che prende spunto dalla psicoanalisi e che punta soprattutto a una analisi di personalità dello scrivente.
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C’è la scuola francese, che in Italia fa riferimento all’AGIF (Associazione Grafologica Italo Francese), fondata nel 1981 e legata alla Société Francaise de Graphologie, che affonda sul piano teorico sul lavoro di Jeanne Rossi Lecerf, allieva di Ania Teillard, che a sua volta doveva la propria formazione all’opera di Klages e Jung.
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C’è infine la scuola Morettiana, da nome del suo fondatore Girolamo Moretti, che è quella a cui aderisco io. Si tratta della scuola maggioritaria nel Paese dal punto di vista numerico. Il suo fondatore, Padre Girolamo Moretti (1879 – 1963) è stato un frate francescano marchigiano, che ha elaborato un sistema basato su una serie di segni, poco più di un’ottantina, le cui combinazioni permettono di svolgere la perizia.
Lo svolgimento della perizia avviene attraverso un esame della scrittura cosiddetta verificanda - di cui va individuato il reale estensore - e il successivo confronto con le scritture comparative.
Gli esiti della comparazione potranno condurre a un giudizio di possibilità, di probabilità (più o meno alta) o di certezza tecnica in ordine all’attribuibilità o meno dello scritto.
Va tenuto sempre presente che se il lavoro di comparazione avviene su fotocopie o scansioni (comunque non sull’originale), il codice deontologico impone al grafologo di non esprimersi in termini di certezza tecnica ma sempre di probabilità. Questo per l’impossibilità di determinare con certezza alcuni parametri (primo fra tutti la pressione), molto importanti a fini attributivi, oltre alla cautela imposta dalla possibilità di manomissione di un testo non in originale.
L’esame su documenti disponibili solo in copia – oltre a essere la norma per lo svolgimento di un parere, a meno che non si sia nel corso di una CTU - fornisce comunque elementi più che sufficienti per indirizzare l’azione del legale a tutela del proprio cliente, e spesso costituisce un passaggio cruciale per individuare una corretta strategia difensiva.
OBIETTIVI DI UNA PERIZIA GRAFOLOGICA
È piuttosto comune ritenere che una perizia in ambito grafologico abbia il solo obiettivo di attribuire un determinato scritto a una determinata mano. Ed effettivamente questa è la più comune ricerca che viene commissionata a un grafologo: la sottoscrizione su quell’assegno, su quel contratto o su quel riconoscimento di debito è davvero di Tizio? Quel testamento è realmente di Caio? In questo caso l’indagine viene condotta attraverso la comparazione del documento in verifica con gli scritti di provenienza certa, e si stabilisce se la scrittura appartiene o meno al supposto firmatario.
L’attività peritale però non avviene soltanto in un’ottica di attribuzione. Soprattutto nei testamenti essa può avere l’obiettivo di determinare la capacità di intendere e volere dello scrivente. In questi casi non è in discussione la paternità di un determinato scritto, ma se chi lo ha redatto fosse in grado di determinare in modo consapevole la propria volontà. È possibile una simile indagine? La risposta è sì, ma a una condizione: non si deve cioè ritenere che l’indagine grafologica sia da sola sufficiente e risolvere la questione relativa alla capacità di intendere e volere. Occorre infatti il supporto di altre discipline, psicologiche, farmacologiche e mediche, è ciò significa che una risposta plausibile a un quesito di questo tipo può essere raggiunta soltanto con l’effetto sinergico di questi diversi approcci.
Infine l’attività peritale può essere indirizzata alla datazione degli inchiostri che compongono un determinato documento. Si pensi per esempio alle lettere di dimissione dei dipendenti, che potrebbero essere fatte sottoscrivere in bianco al momento dell’assunzione, pronte a essere utilizzate come arma di ricatto nel corso del rapporto lavorativo. In questo caso però è necessario l’intervento tecnico (e non ripetibile) di un ausiliario chimico formato ad hoc.
IL PARERE SULLA AUTENTICITA’ DI UNA SOTTOSCRIZIONE
Questo tipo di parere è uno dei più frequenti in ambito grafologico, ed è anche uno dei più affascinanti.
L’alta frequenza con viene richiesto deriva dalla grande varietà di situazioni in cui la firma viene utilizzata, in calce a documenti, dichiarazioni di volontà, riconoscimenti di debito, assegni bancari o cambiali. La sottoscrizione è per questo una delle tipologie di scritto che si presta più frequentemente a falsificazione.
La difficoltà nell’esaminare questo tipo di scrittura deriva principalmente dalla varietà di firme in cui è possibile imbattersi. Esistono infatti sottoscrizioni molto articolate e complesse, ed esistono sigle talmente semplificate e falsificabili – costituite addirittura in certi casi da un unico tratto dritto o semicurvo – da risultare impossibili da esaminare a fini attributivi.
Nella normalità dei casi invece la sottoscrizione è lo scritto che meglio si presta all’indagine peritale, e ciò deriva dal suo particolare grado di automatizzazione. Si tratta infatti dell'azione scrittoria che la maggior parte delle persone compone più di frequente, e per questo gli inceppamenti sono più rari. Capita spesso – soprattutto con le persone non particolarmente avvezze alla scrittura – di notare una grande differenza tra testi composti in modo estremamente stentato e lento, e sottoscrizioni che manifestano un grado di scioltezza decisamente maggiore.
Questa maggiore scioltezza è però tipica della propria firma, non di una firma imitata. Quando ci troviamo dinanzi al tentativo di imitare la sottoscrizione di una terza persona fatalmente il ritmo è lento, il tratto appesantito e macchinoso, complicato, stentato, il percorso della penna presenta stacchi incoerenti, e i tratti si concludono in modo netto e non assottigliato, come avviene invece nelle scritture spontanee.
Per questo la sottoscrizione falsa può manifestare elementi esteriori simili a quella autentica, ma all’occhio di un grafologo le piccole incongruenze che la caratterizzano permettono di scoprirne la inautenticità.
L’IMPORTANZA DEL DOCUMENTO ORIGINALE IN UN PARERE
La quasi totalità dei pareri in ambito grafologico avvengono su copie. Difficilmente è infatti possibile esaminare l’originale, e questo per motivi di costi (quando esso si trova presso un notaio) o perché il committente ha a disposizione soltanto una fotocopia.
A scanso di equivoci va subito detto che anche su fotocopia il parere è possibilissimo, perché comunque molti degli elementi di interesse non vanno perduti e possono essere esaminati. Molti ma non tutti. Vediamo quali sono gli elementi che su una fotocopia non possono essere esaminati.
Il primo è senza dubbio la Pressione, cioè il solco lasciato sul foglio dalla mano dello scrivente. Stiamo parlando di uno dei tre elementi che la Grafologia Morettiana pone alla base dell’indagine peritale insieme a Gesto Grafico e Gesti Fuggitivi. Rilevare la Pressione su una fotocopia non è possibile per le semplice ragione che una fotocopia – al pari di una fotografia – è una immagine a due dimensioni (altezza e larghezza). La Pressione è la terza dimensione (la profondità), e in una fotocopia si perde. È sicuramente vero che alcuni dettagli – per esempio lo spessore del tratto o la sua lucentezza – possono dare un qualche elemento indicativo sulla Pressione praticata in un certo punto del foglio, ma francamente è meglio non fidarsi e trattare questi indizi con il peso (leggero) che meritano.
La fotocopia non è però problematica soltanto per rilevare la Pressione. È importante anche per quanto concerne le proporzioni e l’andamento del tratto.
Per quanto concerne le proporzioni è evidente che una fotocopia potrebbe essere manomessa perché ingrandita o rimpicciolita. Ma potrebbe essere manomessa in generale modificando il rapporto tra le forme, facendo apparire il Calibro (cioè l’altezza) di uno scritto più alto o più basso, rendendo una scrittura più larga di quanto non sia in realtà, insomma intervenendo pesantemente sugli aspetti dimensionali della scrittura. La soluzione per fare fronte a questo problema consiste nell’evitare di indagare il Calibro in assoluto e concentrandosi sul rapporto tra Calibri, che tendenzialmente in una copia non viene modificato.
Passando poi all’andamento del tratto, va tenuto presente che una fotocopia – soprattutto se in bianco e nero – non aiuta a comprenderne a pieno lo sviluppo e le caratteristiche di fondo. Per esempio non permette in molti casi di individuare un eventuale cambio di penna, o delle abrasioni, delle cancellature. O ancora rende complesso verificare se un tratto è continuo o se la penna si è sollevata un istante mentre lo componeva, magari per permettere al falsario la verifica dell’originale mentre si impegnava a ricopiarlo.
Quanto precede spiega il motivo per cui le principali Organizzazioni di Categoria (per esempio l’A.G.P., Associazione Grafologi Professionisti) impediscono al Grafologo di esprimersi in termini di certezza tecnica quando ha operato su fotocopie. Ed è per questo che è sempre giusto prospettare al cliente l’esame del documento originale, ovviamente se possibile, o quantomeno lasciare aperta la possibilità che quell’esame venga condotto, magari in un secondo momento.
CERTEZZA TECNICA E PROBABILITA’: IL PARERE SU COPIE
Chiunque richieda un parere in ambito grafologico desidera certezze. Nessun giudice, nessuna parte e nemmeno nessun avvocato si accontenterebbe – almeno inizialmente – di giudizi probabilistici, che considererebbe anzi un segno di incapacità del consulente, o perlomeno l’indizio che qualcosa è andato storto nello svolgimento del parere.
In realtà le cose non stanno esattamente così, in molti casi l’approdo a un giudizio probabilistico è l’unica possibilità che precisi limiti deontologici offrono al lavoro del consulente grafologo.
Prendiamo per esempio un parere su fotocopie. L’AGP (Associazione Grafologi Professionisti) su questo punto è chiara: Il grafologo "non deve lavorare su documenti inviati per fax o fotocopiati poiché la qualità del tratto ne risulta alterata; qualora gli venga richiesto dall’Autorità Giudiziaria o da altri di lavorare su documenti non originali, deve accertarsi, nei limiti del possibile, che non sia reperibile il documento originale e deve informare, in modo circostanziato, il committente dei rischi e delle limitazioni che comporta una analisi su documenti non originali" (Codice Deontologico AGP, Sez. Rapporti con gli Utenti, art. 3).
Le “limitazioni” cui il Codice Deontologico fa riferimento, che giustificano un giudizio finale limitato alla sola probabilità, derivano dalle caratteristiche della fotocopia:
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Essa innanzi tutto non permette di rilevare con certezza la Pressione, che è un elemento importante per le indagini a fini attributivi. In una scrittura originale la Pressione costituisce la terza dimensione, quella che “scava” il foglio permettendo di capire quanta forza lo scrivente abbia applicato alla penna. Una fotocopia è una specie di fotografia a due dimensioni, ed è proprio la profondità che manca, o che al limite può essere solo ipotizzata badandosi sulla diversa dimensione del tratto o sulla diversa colorazione.
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La fotocopia non permette di rilevare con certezza le dimensioni degli scritti, che possono essere modificate da una riduzione delle proporzioni, e anche le dimensioni hanno una propria importanza nelle indagini grafologiche.
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La fotocopia infine non permette di rilevare la presenza di eventuali manomissioni, aggiunte, cancellature, modifiche varie che in un originale balzerebbero subito agli occhi.
Ma allora la fotocopia non va mai utilizzata? Al contrario. La fotocopia fornisce comunque utili indicazioni, oltretutto nella quasi totalità dei casi è l’unico elemento a disposizione della parte, e non è un caso che 999 pareri su 1000 si svolgano su fotocopie. il giudizio finale potrà essere di tipo probabilistico (anche di altissima probabilità), ma l’impedimento di esprimersi in termini di certezza tecnica sta là a ricordarci che un margine di dubbio, maneggiando fotocopie, è doveroso, sempre.
STRUTTURA DEL PARERE IN AMBITO GRAFOLOGICO
La prima cosa da osservare è che le tipologie di parere in ambito grafologico sono varie. La maggior parte delle volte il lavoro richiesto riguarda l’autenticità di una sottoscrizione o di un determinato documento, ma nella pratica possono essere richiesti pareri diversissimi: per esempio sulla capacità di intendere e volere dello scrivente, o sulla possibilità che la sua mano sia stata guidata o forzata (queste ipotesi sono frequentissime nei testamenti). O ancora se gli inchiostri che compongono un documento sono dello stesso tipo o se al contrario sono intervenute più penne. Oppure se tutte le parti di un documento sono state redatte nello stesso momento (questione della datazione degli inchiostri).
La descrizione che seguirà riguarderà comunque il caso più frequente, e cioè la richiesta di verifica dell’autenticità di un documento. Non esistono regole fisse per la strutturazione di un parere di questo tipo; ogni grafologo ha una propria scaletta e per quanto possibile cerca di attenersi a essa.
La mia prevede alcuni passaggi obbligati.
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l’esposizione del quesito ricevuto e concordato con il committente, abitualmente uno Studio Legale; la formula abituale è del tipo “dica il consulente, esaminando le scritture contestate e ponendole a confronto con quelle di provenienza certa, se le prime appartengono a…”.
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la descrizione delle metodologie e della strumentazione adottata: è infatti importante fornire tutti gli elementi utili sul piano tecnico a chiunque – del settore – dovesse eventualmente esaminare il mio lavoro, spiegargli a quale scuola appartengo, definire a grandissime linee i capisaldi della mia scuola di riferimento ecc.
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L’esame dei documenti in verifica (le scritture contestate), al fine di estrarne alcuni elementi caratterizzanti. Questo esame cerco abitualmente di svolgerlo prima dell’esame delle scritture di provenienza certa per evitare di essere influenzato.
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La messa a confronto degli elementi estratti dall’esame delle scritture in verifica con quelli desumibili dalla documentazione comparativa. Si tratta della parte centrale del lavoro, che misura il livello di compatibilità tra le due scritture e permette di rispondere al quesito.
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Le conclusioni – un riassunto sommario del lavoro svolto e dei risultati del confronto – e la risposta al quesito
GRAFOLOGIA PERITALE E GRAFOLOGIA DELLA PERSONALITA’
Il desiderio – o a seconda delle interpretazioni l’illusione – di comprendere la personalità degli individui sulla base del loro modo di scrivere è stato il primo motore di sviluppo della ricerca in ambito grafologico. Da questo desiderio sono nati e si sono sviluppati i vari approcci alla grafologia che abitualmente vengono applicati in tutto il mondo. Tra le scuole che si sono maggiormente affermate vanno citate la francese e la tedesca. In Italia è molto diffusa la scuola morettiana, che deve il proprio nome al suo inventore, Padre Girolamo Moretti, un frate francescano vissuto tra il 1879 e il 1963. Il suo approccio nasce dalla sua straordinaria predisposizione all’interpretazione della scrittura – documentata da aneddoti numerosi e talvolta decisamente divertenti – e dalla successiva sistematizzazione di tale capacità in un metodo strutturato.
Da questa intenzione iniziale di descrivere la personalità dello scrivente si sono poi sviluppate le varie altre branche della grafologia, tra le quali la grafologia peritale, che hanno un obiettivo diverso e più circoscritto.
La differenza di obiettivo non significa diversità di metodo: l’indagine grafologica a fini peritali viene svolta utilizzando le medesime categorie che utilizza la grafologia della personalità, ricercando i medesimi segni. Semplicemente l'interesse del perito grafologo non ha alcuna attinenza con il profilo di personalità dello scrivente ma punta ad altri obiettivi: per esempio l’attribuzione di una firma o di uno scritto a una persona piuttosto che a un’altra, oppure l’individuazione di elementi utili a comprendere se vi fosse o meno la capacità di intendere e volere nel momento in cui un determinato documento è stato redatto.
Detto ciò va fatto un doveroso riferimento agli obiettivi della grafologia della personalità, anche per evitare di incorrere in errori di prospettiva grossolani. La questione ruota attorno alla capacità della grafologia di descrivere la personalità di un individuo. Qui conviene essere chiari: la grafologia è in grado di fornire indicazioni utili a spiegare alcuni tratti della personalità dello scrivente. Ma per definire la sua personalità, per fornire un quadro coerente e definito di essa, sono altre le discipline che vanno utilizzate (una tra tutte la psicologia) e sarebbe scorretto ritenere che la grafologia da sola possa svolgere questa funzione.
FINALITA’ DEL PARERE IN GRAFOLOGIA
Un parere in ambito grafologico può essere chiesto in diversi momenti e nelle più svariate situazioni, e queste differenze incidono sulle finalità del parere, ma anche sulla sua struttura e sul modo di scriverlo.
Può succedere che il parere serva all’Avvocato per decidere se intraprendere o meno un’azione di qualsiasi genere relativa al documento in verifica. Poniamo ad esempio che il suo cliente affermi che la sottoscrizione presente su un determinato documento (assegno, contratto, riconoscimento di debito ecc.) non gli appartiene, oppure che ci sia indecisione sull’eventuale impugnazione di un testamento che danneggia o esclude determinati soggetti. In questi casi il lavoro del consulente grafologo deve essere di supporto al Legale per capire il da farsi. Quindi si tratterà di un elaborato il più possibile imparziale, e il lavoro dovrà svolgersi con le medesime modalità con cui lavorerebbe un CTU; il grafologo non dovrà avere alcuna esitazione - se è il caso – nello spiegare al proprio Studio Legale di riferimento che l’esito di un’eventuale azione di disconoscimento sarebbe probabilmente quello peggiore. Questa “neutralità” (che poi neutralità non è, anche qui si fanno gli interessi del proprio cliente) è necessaria per evitare che vengano intraprese iniziative destinate a un esito infausto, e consente al cliente e all’Avvocato di limitare i danni, elaborando una strategia diversa.
Altra situazione è quella in cui si sia già in ballo, qualcuno ha già preso l’iniziativa e non si può più tornare indietro, se non a prezzi altissimi. Prendiamo ad esempio l’Avvocato che si trovi a dover nominare un Consulente di Parte in una CTU già disposta dal Giudice. O prendiamo l’ipotesi di una CTU in cui a suo tempo non sia stato nominato un Consulente di Parte (grave errore quest’ultimo), e la bozza predisposta dal CTU dia pienamente torto agli interessi del cliente. O prendiamo infine l’ipotesi di un testamento sul quale si desidera trattare, magari mettendo a disposizione della controparte un elaborato tecnico che presenti conclusioni compatibili con gli interessi del proprio cliente. In questi casi ovviamente l’approccio del perito grafologo non potrà essere imparziale, e dovrà essere costruito in modo da valorizzare la posizione che l’Avvocato intende tutelare. Sarà in quel caso che il consulente del Legale dovrà mostrare la massima abilità nello schierarsi senza violare le regole tecniche del proprio lavoro di grafologo, se non altro per evitare di fare figuracce presentando un elaborato che qualsiasi addetto ai lavori smonterebbe facilmente, pezzo dopo pezzo.
L’IMPORTANZA DELLE OSSERVAZIONI A UNA BOZZA DI CTU
Un passaggio cruciale in una CTU consiste nella presentazione di una bozza del proprio lavoro da parte del Consulente del Giudice, e nella concessione di un certo periodo di tempo alle parti, abitualmente due settimane, per presentare le proprie osservazioni.
Le domande che ci si pone in questi frangenti sono queste:
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In linea di massima è utile o no redigere le proprie osservazioni al lavoro del collega?
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Le osservazioni vanno redatte solo nei caso in cui la bozza di CTU ci dia torto?
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Se si decide di redigerle, quali sono i toni giusti da tenere nelle proprie osservazioni?
La mia opinione è che in linea di massima le osservazioni alla bozza di CTU vadano sempre fatte, anche se il lavoro del collega è in linea con la posizione del nostro assistito. Conviene sempre prendere una posizione, anche soltanto di supporto, evidenziando magari degli aspetti che sono sfuggiti o non sono stati adeguatamente valorizzati nella bozza della CTU. Va oltretutto considerato che nella maggior parte dei casi c’è un CTP di controparte che sicuramente avrà delle cose da dire, e le nostre osservazioni possono porsi come elemento di equilibrio alle sue contestazioni.
La questione sui toni da utilizzare è invece più complessa. Essa si pone in particolare nelle situazioni in cui la bozza di CTU dà torto alla nostra parte.
La tentazione in quei casi è di andare a uno scontro frontale, cercando di spiegare al CTU che ha sbagliato tutto, soprattutto se siamo convinti delle nostre ragioni. Ma occorre tenere sempre presenti due dati di realtà.
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Il primo è che se io mi rivolgo a qualcuno dicendogli senza mezzi termini che ha torto, per avere una qualche possibilità di successo devo trovarmi quantomeno al suo stesso livello, altrimenti non faccio che irritarlo e radicalizzarlo nelle proprie opinioni. E come tutti sappiamo un CTP non è allo stesso livello del CTU. Tutto questo senza contare che nessuno ama passare per incompetente, affermare una cosa e poi sconvolgerla perché qualcun altro lo ha convinto dell’errore.
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Il secondo è che la tendenza dei giudici è quella di dare ragione al CTU a prescindere. Le osservazioni dei CTP il più delle volte non vengono nemmeno lette (mi domando anzi se venga letto l’intero lavoro del CTU e non le semplici conclusioni), e vengono semmai letti i soli commenti del CTU alle osservazioni dei colleghi. Tornando al punto precedente, se abbiamo irritato il CTU immaginiamoci quale sarà il tenore di tali commenti.
E allora? Da quanto precede derivano alcune regole di fondo.
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Le osservazioni vanno sempre fatte.
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Non conviene che il tono delle osservazioni sia di scontro frontale (tu dici bianco io dico nero).
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Va anzi valorizzato il lavoro del collega, per predisporlo a concedere maggiore ascolto a eventuali rilievi.
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Rilievi che non avranno l’obiettivo di cambiare radicalmente la posizione espressa, ma semmai di ampliare il margine di dubbio, che a mio parere è l’obiettivo massimo che le osservazioni possono avere.
Si tratta come ho scritto sopra di regole, e come tutte le regole prevedono delle eccezioni, per esempio quando una bozza di CTU è talmente lacunosa da non stare letteralmente in piedi. Ma si tratta di casi rari.
"NON ME NE INTENDO, MA MI PARE EVIDENTE..."
Quando vengo contattato da un legale per un parere in ambito grafologico ci sono due affermazioni abbastanza tipiche che mi gettano nello sconforto. Di una parlo nell'approfondimento che segue qui sotto, e si riferisce a quel meraviglioso mistero che viene chiamato “parere preliminare”.
L’altro è tipico di quei legali che esordiscono con l’idea di suggerire già la soluzione del lavoro. “Ovvio, non è il mio lavoro e non me ne intendo, ma mi sembra del tutto evidente che…” e da lì si aprono tante strade quante sono le convenienze: “è evidente che la firma è falsa”, “è evidente che la firma è vera”, “è evidente che il testamento non è di tizio” o al contrario “è evidente che è suo”. E su cosa si basa questa “evidenza”? Beh, ovvio: sul grado di somiglianza esteriore del documento in verifica con gli scritti comparativi.
Per chi fa il grafologo le cose non funzionano così: innanzi tutto se bastasse la somiglianza esteriore non avrebbero inventato i grafologi, basterebbe uno che dice “gli somiglia” o “non gli somiglia” e i giochi sarebbero fatti, il parere sarebbe meramente calligrafico e tutto sarebbe più facile. E comunque occorre stare molto attenti alle somiglianze esteriori. Personalmente, se un documento in verifica appare molto diverso dalle scritture comparative, alzo al massimo il mio livello di attenzione, per la semplice ragione che un falsario difficilmente comporrebbe un documento disinteressandosi della scrittura che vuole imitare. Così come se due scritture appaiono molto simili la cosa per me non è molto significativa (figuriamoci se è decisiva), e questo sempre per la medesima ragione: un falsario cercherà sempre di imitare il modello.
Gli strumenti che il grafologo adotta per capire se una scrittura è autentica o no sono un po’ più complessi, e vanno molto al di là della somiglianza esteriore. Sono – per la grafologia morettiana che è quella cui mi ispiro – il Gesto Grafico, la Pressione e i Gesti Fuggitivi, su cui già ho scritto altri approfondimenti.
"MI SERVIREBBE SOLO UN PARERE PRELIMINARE...."
Una richiesta che trovo francamente singolare è quella che ogni tanto proviene da qualche legale, che mi contatta spiegandomi tutta la vicenda relativa a un determinato scritto, e poi mi formula la richiesta: di un parere, ma non di un parere come si usa normalmente, di quelli che si pagano. No. Di un “parere preliminare”.
Le prime volte che mi è stata formulata una richiesta di questo tipo ho pensato di avere a che fare con qualche persona tutto sommato strana. Arrivato a questo punto devo rassegnarmi all’evidenza: quello strano sono io.
Sono io quello che non ha capito il percorso mentale che si cela dietro la richiesta di un “parere preliminare”. Vediamo di spiegarlo in quattro passaggi.
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Viene inviato il documento in verifica.
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Il grafologo (che sarei io) predispone il famigerato “parere preliminare”, gratuitamente (ca va sans dire).
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Se gli esiti di questo “parere preliminare” sono in linea con le aspettative del Cliente e dello Studio Legale, allora si può parlare di un preventivo.
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Altrimenti grazie lo stesso, amici come prima.
Io non so come reagirebbe un legale se il cliente andasse da lui e gli chiedesse “senta ecco la mia posizione, se dopo averla studiata (gratuitamente) secondo lei vinciamo le conferisco l’incarico, altrimenti arrivederci”.
L’idea che si cela dietro una simile richiesta è che il grafologo basti un’occhiatina per capire al volo come stanno le cose. E poi, per giustificare i soldi che richiede, redige l’elaborato che a quel punto è semplice messa in scena.
Le cose non stanno così. Per capire se un documento è falso o autentico va svolto il lavoro, esattamente quel lavoro che dà origine al parere (non quello “preliminare” ma quello corposo, quello che si paga per intenderci). All’esito di quel parere si comprenderà da parte dello Studio Legale quale sia la strategia da adottare.
QUANDO IL COMMITTENTE NON E' L'AVVOCATO
Capita talvolta che chi prende contatto con un grafologo per richiedere un parere sia un privato e non uno studio legale.
Un’eventualità del genere può verificarsi per i più disparati motivi. Talvolta il parere viene richiesto prima ancora di richiedere l’intervento di un avvocato per valutare se valga o meno la pena intraprendere la lunga e costosa strada del contenzioso, e per questo si ritiene di affidare un incarico a un perito grafologo a fini meramente esplorativi.
Ma possono esserci alcuni segnali a cui prestare attenzione. Se per esempio ciò che va valutato è un testamento, e magari c’è già uno studio legale coinvolto, il fatto che sia in prima persona il cliente che prende contatto può nascondere il rischio di imbattersi in persone particolarmente toccate sul piano emotivo dai contenuti del testamento di cui chiedono l’esame, che scelgono di richiedere la consulenza contro il parere dell’avvocato. Oppure può accadere che l’avvocato desideri non intervenire in una situazione i cui sviluppi potrebbero assumere contorni sgradevoli. Comportamento quest’ultimo del tutto comprensibile, soprattutto dal punto di vista umano.
In questi casi il grafologo deve rendersi conto che non sono semplicemente in discussione aspetti economici. Ci sono in gioco storie familiari, aspettative deluse, sensazioni di torti subiti, che oltretutto non sono più rimediabili essendo ormai defunto il presunto autore del testamento. Per questo è necessario prestare la massima attenzione, soprattutto nell’ipotesi in cui si debba dare torto alle aspettative del cliente, nella consapevolezza che purtroppo non sempre il tatto e la delicatezza sono sufficienti a evitare reazioni anche scomposte.
TIPOLOGIE DI PARERE SU UN TESTAMENTO
Cosa può essere chiesto a un perito grafologo in relazione a un testamento di cui si voglia accertare la genuinità?
Fondamentalmente possono essere richiesti tre tipi di indagine.
Il primo consiste nella verifica della paternità dell’estensore. Si tratta cioè di verificare se un determinato testamento apparentemente firmato a nome di Tizio sia effettivamente stato scritto da lui. A tal fine occorre la disponibilità di documenti di provenienza certa da porre a confronto con la scrittura del testamento. Deve trattarsi di documenti omogenei (corsivo con corsivo, stampatello con stampatello, numeri con numeri), possibilmente coevi (di datazione cioè vicina a quella del documento in verifica) e in numero sufficiente. Dietro questa generica definizione di “sufficiente” non si intende un numero preciso. Occorre in ogni caso che il numero dei documenti non sia talmente esiguo da lasciare il dubbio sulla abitualità degli elementi grafologici che li caratterizzano.
Un secondo tipo di indagine è indirizzato a verificare se ci siano state correzioni, abrasioni, manomissioni del documento. È singolare la quantità di possibili interventi che possono essere fatti su un testo scritto. Possono esserne cancellate delle parti. Possono esserne aggiunte in un secondo momento. O ancora possono essere apportate micro correzioni. In questo caso non sono necessarie scritture comparative, ma un attento esame del documento.
Il terzo e ultimo tipo di indagine è diretto a verificare la capacità di intendere e volere del testatore. Qui non è in discussione che il testamento sia stato effettivamente redatto dal firmatario; si vuole però verificare se egli fosse nelle condizioni di disporre in piena consapevolezza della propria eredità nel momento in cui ha redatto il documento. Può la grafologia determinare la capacità di intendere e volere di chi ha redatto un determinato testo? La risposta deve essere chiara: da sola la grafologia non è in grado di fornire risposte certe in relazione alla capacità di intendere e volere di un individuo. Al contempo però la grafologia è in grado di fornire un contributo, talvolta importante, per determinarla, insieme a altre discipline mediche e psicologiche. Per questo tipo di indagine non sono indispensabili scritti comparativi.
IMITAZIONE PEDISSEQUA
Di tutti i possibili tipi di imitazione, quella cosiddetta “pedissequa” è la più frequente sul piano statistico. Essa consiste nel tenere un modello della scrittura da imitare sott’occhio, cercando di scrivere nello stesso modo e riproducendo quindi le caratteristiche di quella scrittura.
È un metodo molto usato perché con una certa pratica è possibile riprodurre il modello da imitare con una similitudine esteriore che può indurre l’osservatore in errore.
Ci sono però alcuni elementi che emergono a livello di indagine grafologica, che fanno emergere importanti differenze dal modello e smascherano il falso.
Il primo di questi elementi consiste nella pressione uniforme. Mancando di spontaneità, il movimento riproduce le forme ma non le spinte autentiche dello scrivente la cui scrittura viene copiata. In questo modo non si ha l’alternanza di pressione più o meno marcata che uno scritto autentico può presentare, ma un andamento monotono e privo di differenze.
Strettamente legato a questo elemento ce n’è un secondo non meno importante: lo scritto imitato pedissequamente manca di ritmo. Manca infatti la disinvoltura tipica del gesto grafico della persona imitata, il che aumenta il senso di immobilità dello scritto.
Un terzo elemento ancor più importante riguarda gli Stacchi (banalmente i momenti in cui la penna si solleva dal foglio): nel corso dell’esecuzione dello scritto l’imitatore alza la penna in momenti legati all’azione imitatrice, che sono completamente diversi da quelli in cui la stacca la persona la cui scrittura viene imitata, e anche questo è un elemento importante in grado di smascherare la falsificazione.
IMITAZIONE PER RICALCO
Questo tipo di imitazione – che non va confusa con l’imitazione pedissequa di cui si parlerà in un prossimo post – riguarda quelle situazioni in cui la scrittura da imitare viene utilizzata come modello che viene ricalcato in controluce, al fine di riprodurre le modalità compositive tipiche della persona da imitare.
L’imitazione per ricalco è interessante perché permette di spiegare al meglio la differenza tra una perizia calligrafica e una perizia grafologica, e fare un po’ di chiarezza anche nelle imprecisioni terminologiche che si riscontrano da parte di alcuni giudici e avvocati.
L’indagine calligrafica indaga la somiglianza formale, esteriore tra due scritti. Ci si basa cioè su quanto uno scritto assomigli all’altro. Di conseguenza l’indagine calligrafica – a fronte di una buona imitazione per ricalco – potrà facilmente portare a una dichiarazione di autenticità del documento ricalcato.
L’indagine grafologica non si interessa alla somiglianza formale tra due scritti ma indaga i dinamismi della scrittura. La scuola cui appartengo che è quella di Girolamo Moretti si interessa di GESTO GRAFICO, PRESSIONE e cosiddetti “GESTI FUGGITIVI” (bellissima formula un po’ arcaica che individua quei movimenti che fuggono alla volontà cosciente dello scrivente e quindi ne identificano la paternità al di là dei suoi desideri). Di conseguenza l’indagine grafologica – a fronte di una buona imitazione per ricalco – non può che portare a una dichiarazione di falsità del documento ricalcato.
Questo perché grazie all’indagine grafologica emergono tutti i difetti dell’imitazione per ricalco (che peraltro chiunque può sperimentare provando a propria volta a ricalcare una scrittura non sua): ritmo lento, stacchi e attacchi innaturali, segni non tracciati in modo spontaneo, pressione uniforme, insomma tutti i tipici segni di chi ha composto un tracciato privo di spontaneità, ponendo su questo lavoro un’attenzione innaturale. L’imitazione per ricalco è più frequente dell’imitazione per composizione (su cui rimando a un precedente post), ma sempre meno di quella cosiddetta pedissequa – della quale parlerò in futuro – ma è tutto sommato abbastanza riconoscibile. Un ultimo elemento interessante: tale tipo di imitazione viene svelata in modo ancor più immediato e palese se viene recuperato il documento / fonte, quello cioè che è stato utilizzato per il ricalco. Quasi impossibile? Per nulla, perlomeno al di fuori dell’ambito familiare: spesso per esempio, in ambito commerciale, vengono utilizzate le sottoscrizioni su precedenti contratti o le firme su documenti di identità.
L’INDICE DI UN PARERE GRAFOLOGICO
Un po’ alla volta, nel corso degli anni, ho standardizzato il mio modo di costruire i pareri di grafologia secondo criteri di leggibilità e chiarezza anche per non addetti ai lavori.
Ovviamente possono presentarsi situazioni particolari o eccezioni, ma la struttura più o meno è sempre la stessa.
La pagina n. 1 contiene l’intestazione, cioè l’argomento su cui si incentrerà il mio lavoro (“parere su alcune sottoscrizioni a nome di ….” oppure “su un testamento a firma di ……” ecc.), e sempre nella prima pagina viene indicato il committente, abitualmente uno Studio Legale.
A pag. 2 c’è l’indice e a pag. 3 la cosiddetta “premessa metodologica” che è molto importante perché mi permette di descrivere quale sarà il metodo grafologico che orienterà il mio lavoro. Il mio metodo è quello ispirato a Padre Girolamo Moretti che è anche il metodo prevalente nel nostro Paese, ma ci sono altri approcci legati alla scuola francese o a quella tedesca, più rara. Segue nelle pagine successive la presentazione della scrittura da esaminare e delle scritture che verranno utilizzate per il confronto.
Inizia poi il lavoro vero e proprio, che si divide in tre parti.
Nella prima parte viene esaminata la scrittura in verifica, cioè quella che è oggetto dell’indagine, e vengono individuati alcuni elementi che la caratterizzano sul piano grafologico.
Nella seconda parte viene attuato il confronto tra quegli elementi e le scritture comparative, per capire se essi siano o meno presenti anche in esse.
Nell’ultima parte c’è la spiegazione dei risultati del confronto e la risposta al quesito.
L’IMITAZIONE PER COMPOSIZIONE
Tra i tipi di falso che un grafologo incontra nella sua attività, può capitare di imbattersi in una imitazione molto particolare, detta “per composizione”. Essa viene realizzata dal falsario che utilizza delle scritture autografe di cui isola alcune sillabe che gli permettono di formare il messaggio che ha bisogno di produrre e che poi viene ricopiato in trasparenza.
La difficoltà nel produrre questo tipo di falso è data dalla necessità di un alto numero di scritti autentici sufficienti a permettere la produzione del messaggio.
Il perito risconterà alcuni elementi che rendono questo tipo di falso riconoscibile.
Per esempio delle anomalie di allineamento, poiché l’impegno per questa composizione a mosaico può distrarre l’imitatore dal realizzare il corretto allineamento delle strutture grafiche sul rigo.
Oppure la disomogeneità dei parametri grafici, poiché l’imitatore ha attinto a campioni di scrittura che inevitabilmente sono differenti tra loro.
O infine una mancanza di coerenza ritmica in quanto la sequenza di alcune parti delle parole sarà interrotta nei punti di saldatura con altre sillabe o con altre parti di parola che daranno all’intero scritto un senso di innaturalezza.
Si tratta di una procedura non frequentissima, sia per la necessità di molti scritti autografi da cui attingere di cui scrivevo sopra, sia per la difficoltà oggettiva di strutturare un falso con queste modalità, ma va tenuto presente perché il suo esame, e quindi la sua individuazione, necessita di una buona capacità di sguardo d’insieme da parte del perito. Questo proprio perché i particolari che compongono il documento derivano da scritti autentici.
PERIZIA GRAFOLOGICA E CALLIGRAFICA
È singolare come in ambito giuridico continui a essere molto utilizzato il concetto di “perizia calligrafica”. Ed è ancor più singolare il fatto che quando viene richiesto cosa intenda per “perizia calligrafica”, si comprende come sia chiaramente una “perizia grafologica” quella a sui il richiedente si sta riferendo.
La differenza tra questi due tipi di esame è semplice quanto importante.
La perizia calligrafica si interessa degli aspetti meramente formali della scrittura e sviluppa una comparazione tra due scritti guardando unicamente alle forme esteriori della scrittura.
La perizia grafologica invece va oltre agli aspetti formali e guarda allo sviluppo dinamico della scrittura. In questa ottica la grafologia morettiana (che deve il proprio nome al suo inventore, Padre Girolamo Moretti), che è la corrente probabilmente maggiormente praticata in Italia, si concentra per l’appunto sul gesto grafico, sulla pressione e i cosiddetti gesti fuggitivi, che sono quelle particolarità della scrittura che appartengono a ognuno di noi e che sfuggono alla nostra attenzione.
Una diversa interpretazione permetterebbe di sanare l’apparente malinteso tra i concetti di “calligrafico” e “grafologico” ipotizzando che con il concetto di “perizia calligrafica” non ci si riferisca al metodo di indagine (quello esteriore / calligrafico descritto sopra), ma all’oggetto dell’esame: la “perizia calligrafica” si chiamerebbe così poiché si occupa dell’esame della calligrafica, quindi della scrittura. Ritengo però sempre preferibile l’utilizzo del termine corretto, che identifica nel modo più opportuno il tipo di esame che si richiede all’esperto, che è comunque una “perizia grafologica”.
LA NECESSITA’ DI DECIDERE
Capita talvolta che il CTU si trovi nelle condizioni di svolgere il proprio compito con un numero o una qualità di documenti carente.
Un esempio abbastanza tipico potrebbe essere quello di una Consulenza Tecnica richiesta su un Testamento, a fronte di documenti comparativi disponibili costituiti unicamente da sottoscrizioni, magari in numero limitato, o magari molto precedenti o molto successive rispetto al testamento da esaminare.
Un principio alla base di qualsiasi Parere o Consulenza Tecnica in ambito grafologico afferma che sarebbe necessario operare con documentazione comparativa omogenea rispetto al documento in verifica: quindi testo con testi, sottoscrizione con sottoscrizioni, uno scritto in stampatello con scritti in stampatello ecc.
Come ho già scritto nel mio intervento di pochi giorni fa, la mancanza di sufficiente documentazione non impedisce la redazione di un parere, e di conseguenza non impedisce nemmeno una Consulenza Tecnica d’Ufficio. Però deve mettere sull’avviso per quanto concerne le conclusioni, che a causa della carenza di materiale di confronto non potranno essere improntate alla certezza, ma dovranno limitarsi a un cauto probabilismo.
Il problema si pone nelle CTU, quando il professionista che è stato investito del ruolo si sente in qualche modo obbligato a decidere per poter fornire al giudice una risposta chiara e netta, anziché un ventaglio di ipotesi che lasci le cose come stanno e non permetta ciò che si ritiene sia utile in quel frangente, e cioè l’aut aut, la decisione “bianco o nero”. Ciò comporta talvolta la tentazione di forzare la mano alla realtà e di spingere gli esiti dell’indagine oltre le loro possibilità, correndo il rischio di incorrere in colossali malintesi. La scelta più opportuna – sempre – è quella di utilizzare il criterio della probabilità, rimanendo accuratamente lontani dal recinto ristretto della certezza tecnica, per quanto si tratti di una scelta comprensibilmente sgradita a chi si aspetta risposte certe dalla Consulenza che ha richiesto.
DOCUMENTI “INSUFFICIENTI”
Capita spesso che un avvocato richieda un parere sottolineando l’insufficienza o il deterioramento degli scritti da utilizzare.
Negli ultimi due giorni mi sono trovato due volte in questa situazione. Nel primo caso c’era un documento in verifica disponibile unicamente in fotocopia, in cui per giunta la sottoscrizione da esaminare era tagliata orizzontalmente a metà. Nel secondo c’era un documento scritto in stampato maiuscolo, mentre i documenti comparativi disponibili erano composti da sole sottoscrizioni redatte in corsivo.
Il dubbio sollevato del tutto legittimamente dai committenti è stato che data la condizione o le caratteristiche dei documenti non ci fossero le condizioni per esprimere un parere.
In realtà le cose stanno in modo un po’ diverso. Esistono quattro parametri per valutare la qualità della documentazione per redigere un parere in ambito grafologico. Il primo riguarda il documento da esaminare e quelli comparativi, che dovrebbero essere disponibili in originale. Il secondo riguarda il grado di integrità dei documenti. Il terzo attiene al numero di documenti comparativi, che oltretutto devono essere possibilmente coevi con il documento da verificare. Il quarto riguarda l’omogeneità (corsivo con corsivo, stampatello con stampatello, numeri con numeri) tra il documento in verifica e i documenti comparativi.
Cosa succede quando questi parametri sono carenti?
Per quanto concerne il primo va subito detto che non si verifica quasi mai: non succede infatti se non in casi rarissimi che un grafologo possa lavorare su originali, soprattutto se gli viene chiesto un parere stragiudiziale. Per quanto invece riguarda gli altri parametri, è possibile che il documento in verifica non sia ben leggibile, che le scritture comparative siano poche, o che non siano omogenee.
Tutte queste problematiche non influiranno – se non in casi estremi - sulla possibilità di trarre indicazioni di rilievo grafologico, ma incideranno sul grado di probabilità nella risposta al quesito. Pertanto la pur giustificata preoccupazione dei committenti di non fornire al grafologo sufficienti elementi per esprimere un parere va parzialmente tranquillizzata: la carenza di qualità o quantità dei documenti avrà una propria incidenza unicamente sul grado di probabilità delle conclusioni cui il grafologo giungerà, non sulla possibilità di redigere un parere.
DOCUMENTAZIONE NECESSARIA PER UN PARERE GRAFOLOGICO
Lo svolgimento di un parere o di una consulenza tecnica necessita di alcune condizioni ottimali, che non sempre ricorrono. Tali condizioni possono essere suddivise in tre capitoli.
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La presenza di scritture di comparazione idonee per numero e caratteristiche. Normalmente si individuano tre requisiti che le scritture comparative devono presentare. Esse infatti devono essere a. in numero sufficiente, b. coeve (cioè di data simile) alle scritture da verificare e c. omogenee, cioè redatte con le medesime modalità delle scritture in verifica, stampatello maiuscolo, corsivo, script ecc.
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La presenza di informazioni di contesto. Per esempio dovendo esaminare un testamento è importante conoscere le condizioni di salute del supposto estensore, le patologie di cui soffriva o le medicine che assumeva.
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Per quanto concerne le scritture in verifica è importante operare sugli originali. Le fotocopie impediscono di verificare un elemento fondamentale per l’indagine grafologica che è la Pressione, e anche le proporzioni possono essere di non agevole verifica in una fotocopia.
Come ci si comporta in mancanza di uno o più di questi requisiti? La questione riguarda soprattutto la mancanza degli originali delle scritture in verifica. Spesso un parere viene richiesto proprio per decidere se valga o meno la pena contestare una richiesta di pagamento, o opporsi a un decreto ingiuntivo o ancora impugnare un testamento. In questi casi l’originale non è praticamente mai disponibile.
Il codice deontologico dell’Associazione Grafologi Professionisti non impedisce al Grafologo di svolgere il proprio lavoro, ma gli pone l’obbligo di rendere edotto il cliente dei limiti dell’indagine, e soprattutto gli impone di non esprimersi in termini di certezza tecnica, limitandosi a un giudizio probabilistico. Ciò ovviamente non impedisce di trarre elementi di grande interesse ai fini dell’indagine, ma costituisce un doveroso richiamo alla massima cautela.
INDAGINE GRAFOLOGICA E PERSONALITA’ DELLO SCRIVENTE
I detrattori della Grafologia sostengono che si tratta di una disciplina più assimilabile alla astrologia che a una scienza degna di questo nome. È una posizione rispettabile, anche se un dubbio dovrebbe pur sfiorare i suddetti detrattori, e cioè se questo declassamento della grafologia non derivi più da ignoranza sulla materia che da altre considerazioni.
La mia opinione è diversa, ovviamente. Ovviamente perché ho studiato grafologia e – perlomeno per quanto riguarda i suoi aspetti peritali – ne ho fatto una professione. E la mia idea a questo riguardo è che occorra distinguere: se la domanda è “la grafologia può permettere di tracciare il quadro di personalità dello scrivente?” la mia risposta è un convinto no; se invece la domanda è “la grafologia può permettere di trarre elementi utili a delineare alcuni aspetti della personalità dello scrivente?” la mia risposta è un altrettanto convinto sì.
A parte questa premessa esiste una regola, in base alla quale non è permesso indulgere in descrizioni o analisi di personalità in ambito grafologico peritale. A prescindere dal fatto che una simile preclusione è soggetta ciclicamente ad attacchi e discussioni (con le più svariate motivazioni), la mia personale opinione è che si tratti di preclusione del tutto legittima. Quello che il grafologo peritale sta esaminando è uno scritto, la sua autenticità, e la sua riferibilità a una determinata mano. Ci si occupa quindi di un evento specifico, e la domanda rivolta al grafologo è “in questo evento specifico la mano è di tizio o no?”. Se facessimo subentrare considerazioni sulla personalità dell’ipotetico scrivente, la domanda a cui staremmo indirettamente rispondendo sarebbe “alla luce della personalità di tizio che emerge dall’indagine grafologica, possiamo pensare che il suddetto tizio potrebbe essere in grado di aver scritto questo documento?”, che è tutt’altra domanda.
È tutt’altra domanda e soprattutto è una domanda foriera di pregiudizi. È un po’ come indagare nella vita privata di una donna che ha subito una violenza carnale per stabilire se il suo contegno abituale la poteva porre nelle condizioni di mettersi nei guai, o per dirla in altre parole se “se l’è andata a cercare”, e tutto ciò oltre che ripugnante è ottuso.
Il grafologo deve quindi operare e indagare su uno specifico documento e deve rilevare se ci siano elementi tali da permettergli di attribuirne la paternità o meno. Certo, verranno utilizzate categorie grafologiche, ma unicamente a fini attributivi, non certo di giudizio.
TIPI DIVERSI DI METODOLOGIE PERITALI
La storia dei metodi adottati per l’attribuzione degli scritti ai propri autori è lunga, almeno quanto quella dei tentativi di falsificazione degli scritti stessi.
Inizialmente il metodo utilizzato per individuare falsi e contraffazioni nelle scritture è stato quello CALLIGRAFICO. Il problema era costituito dalle figure che si occupavano di questa indagine, per l’appunto i calligrafi: non essendo esperti della scrittura ma solo fedeli riproduttori dei suoi aspetti estetici, le loro indagini comparative si limitavano a osservare le similitudini esteriori tra lo scritto in verifica e quelli comparativi, concludendo per l’identità o la non identità di mano unicamente sulla base delle somiglianze esteriori. Paradossalmente quello che un grafologo attuale chiamerebbe “falso per ricalco” per un calligrafo sarebbe certamente un documento autentico, dato l’alto grado di somiglianza esteriore con la scrittura di provenienza certa che un falso per ricalco inevitabilmente presenta. Anche tuttora – in modo del tutto improprio – la perizia grafologica viene spesso chiamata dai Tribunali “perizia calligrafica”, ma non ha nulla a che fare con quel tipo di indagine.
Un secondo metodo utilizzabile è quello GRAFOMETRICO, che si fonda su misurazioni millimetriche, proporzioni, valutazioni statistiche, e sulla base di questi approcci si propone di pervenire al risultato dell’indagine attributiva. Si tratta di un metodo che ha indubbiamente dei pregi, ma che da solo non basta a togliere ogni dubbio a chi debba indagare una scrittura: l’espressione grafica risente di molteplici aspetti emotivi, oppure legati al tipo di scritto che si sta componendo (si pensi alla diversa solennità di un atto di ultime volontà rispetto a una lista della spesa), o ancora legati al supporto su cui si scrive o al mezzo scrittorio utilizzato. Il metodo grafometrico non sembra in grado di indagare questi molteplici aspetti.
Terzo metodo è quello GRAFONOMICO, ideato da Salvatore Ottolenghi, che è quello utilizzato dalla Polizia Scientifica e che procede attraverso le fasi di osservazione, rilievo dei caratteri, confronto e giudizio conclusivo. Ricerca elementi utili a delineare il cosiddetto tipo grafico individuale.
È un metodo simile a quello GRAFOLOGICO, che ha però dalla sua una ricchezza di elementi di indagine sconosciuta agli altri metodi, oltre alla capacità di indagare non tanto la scrittura come forma, ma il gesto grafico nella sua dinamicità, reperendo elementi e dettagli individuali che nel caso della grafologia morettiana vengono ricercati grazie all’indagine di Pressione, Gesto Grafico e Gesti Fuggitivi. Non si tratta più di un esame della scrittura sul piano meramente morfologico, ma di un’indagine che si sviluppa su un piano più ampiamente dinamico, che indaga il movimento prima ancora della forma. Tutto ciò è in grado di conferire all’indagine una ricchezza sconosciuta agli altri metodi.
FIRME PERFETTAMENTE SOVRAPPONIBILI
Uno dei falsi più intriganti che un perito grafologo può trovarsi a esaminare è in realtà un documento in cui la sottoscrizione è sicuramente autentica. Come è possibile tutto ciò?
Si tratta di un evento che si verifica nelle situazioni in cui una sottoscrizione di una persona viene scansionata e applicata in calce a un documento che il proprietario della firma in realtà non ha mai sottoscritto. Il documento è ovviamente un falso, la sottoscrizione è però autentica.
Come si deve comportare il perito grafologo in questo caso? Egli dovrà reperire – se possibile – la sottoscrizione che ha svolto funzione di sorgente. Normalmente è la firma su un altro contratto, questa volta autentico, che ha regolato rapporti passati tra le parti. Oppure è la sottoscrizione presente su documenti di identità della persona. Sarà poi sufficiente porre a confronto le due sottoscrizioni, e dimostrare – con tutta la pazienza di chi deve spiegare l’ovvio – che si tratta di scritture sovrapponibili, e quindi false: uno degli assiomi della grafologia afferma infatti che nessuno farà mai due firme del tutto identiche nel corso della propria vita. Se perciò due sottoscrizioni sono sovrapponibili, almeno una delle due è falsa, rendendo falso l’intero documento. Se non è reperibile la sottoscrizione – sorgente, occorre esaminare il documento originale. Se adeguatamente ingrandito sarà possibile rilevare i tipici segni della scansione, differenti rispetto alla sottoscrizione a mano libera.
Un’altra ipotesi è quella in cui vengono scansionati due modelli identici di firma, che poi vengono inseriti in quei documenti che richiedono una doppia firma. È un caso molto più frequente di quanto si pensi. Il confronto in questo caso sarà tra le due sottoscrizioni presenti sul documento, dimostrando anche in questo caso la loro sovrapponibilità.
CHE TIPO DI INTERVENTO SI PUO’ CHIEDERE A UN PERITO GRAFOLOGO
Il quesito alla base di un parere in ambito grafologico peritale riguarda abitualmente l’attribuzione di uno scritto a una determinata mano. In altre parole si tratta di verificare se una sottoscrizione o un testo appartiene o meno a un determinato soggetto.
Più raramente si verificano altre situazioni in cui l’obiettivo dell’indagine non è la paternità di una scrittura – sulla quale non esistono dubbi – ma riguarda altri aspetti ugualmente rilevanti in relazione ai contenuti di uno scritto.
Può per esempio essere esaminata la datazione dell’inchiostro di un documento per verificare se tutte le sue parti risalgono allo stesso momento. Si immagini per fare un esempio la sottoscrizione posta in calce a una lettera di dimissioni da un’azienda, e la data del documento stesso. Oppure il contenuto di un testamento in relazione alla sua data. A questo fine esiste uno specifico esame – purtroppo distruttivo – che aiuta a datare l’inchiostro di uno scritto, valutando la sua reattività a specifici solventi. Se l’intero documento si comporta in modo uniforme, la datazione dell’inchiostro che lo compone è uniforme. Altrimenti no.
Possono essere cercati elementi utili a farsi un’idea sulla capacità di intendere e volere dello scrivente. Come già scritto in un altro intervento sempre su questa pagina, la grafologia da sola non è in grado di determinare tale capacità dello scrivente. Però può essere un supporto ad altre materie, psicologiche e mediche.
O ancora può essere indagato il fenomeno della cosiddetta “mano guidata”. Anche in questo caso non è in discussione la paternità di uno scritto, ma si cerca di trarre indicazioni utili a capire se la mano dello scrivente sia stata guidata da una terza persona. Si tratta di un’indagine tanto complicata quanto affascinante, utilizzata – come nel caso della capacità di intendere e volere – in molti casi, ma soprattutto nei testamenti.
Sono applicazioni più rare della semplice autenticità di uno scritto, ma che sono comunque oggetto in certi casi del quesito che viene posto al grafologo, e che confermano il fascino di questa materia.
IL LINGUAGGIO NEI PARERI DI GRAFOLOGIA
Si dice che abitualmente in una consulenza o in un parere grafologico vengono lette le sole conclusioni, e il resto non viene ritenuto importante.
È vero, la tendenza nei fatti è talvolta questa, soprattutto da parte di coloro che non praticano professionalmente la grafologia: per intenderci, è difficile che una simile disattenzione riguardi un collega che magari deve commentare o esprimere giudizi sul nostro lavoro, più facile che coinvolga il cliente o l’avvocato che vuole solo capire quanto insistere su una determinata posizione.
Ma anche se una simile abitudine è abbastanza diffusa è buona norma raccogliere la sfida e cercare di sviluppare il nostro lavoro con modalità tali da suscitare l’attenzione del lettore, spiegandogli le motivazioni che ci hanno condotti a una determinata risposta anziché a un’altra, tenendo conto di una considerazione preliminare: per quanta passione ognuno di noi abbia nei confronti di questa materia, la grafologia non appartiene esattamente all’elenco degli argomenti che tengano la persona incollata alla pagina, ma può anzi risultare piuttosto noiosa.
Per questo motivo alcuni accorgimenti vanno tenuti presenti. Non garantiscono il risultato, ma possono aiutare.
Un prima idea potrebbe essere quella di utilizzare meno parole e più immagini possibile: un oculato utilizzo di immagini, con spiegazioni brevi e convincenti, conferisce un senso di movimento nella pagina e può contribuire a mantenere desta l’attenzione del lettore; l’immagine ha il pregio di spiegare in modo istantaneo ciò che le parole raggiungono – non sempre – a prezzo di grande fatica attentiva da parte dello scrittore e del lettore.
Una seconda idea deriva dalla precedente: infatti, per quante immagini si vogliano utilizzare, l’utilizzo di parole, frasi e spiegazioni scritte rimane pur sempre indispensabile. E qui ci colleghiamo alla questione relativa alla scelta del linguaggio. Noto che c’è spesso la tendenza a indulgere in tecnicismi e formule oscure, che risultano poco attraenti per gli addetti ai lavori, figuriamoci per chi non se ne intende. È vero, la grafologia è una tecnica e ha di conseguenza un proprio specifico linguaggio, ma c’è modo e modo anche di utilizzare un linguaggio tecnico. L’abilità consiste nel presentare i concetti in modo che chiunque possa comprenderli, senza per questo rinunciare alla precisione terminologica. Sotto questo punto di vista la scuola grafologica cui aderisco (insieme a tanti altri colleghi), che è la Scuola Morettiana, ha il vantaggio di utilizzare termini la cui comprensibilità è immediata, in quanto mutuati dalla vita di tutti i giorni. E questo sicuramente aiuta.
Insomma, i punti sono: consapevolezza dell’interesse di molti dei lettori dei nostri pareri unicamente per le conclusioni. Esigenza di spiegare la procedura adottata, anche per rafforzare la credibilità delle conclusioni stesse. Per questo motivo uso di molte immagini e di una terminologia che coniughi la precisione e la comprensibilità. Una sfida ambiziosa, che però può essere vinta.